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Armenia e Azerbaijan, storia e numeri di un conflitto

17 Ottobre 2020 - Giovanni Zorra

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Dopo circa 30 anni, nell’estate del 2020 si è ritornati a parlare di Nagorno Karabakh: tra il 12 e il 16 di luglio Armenia e Azerbaijan si sono confrontati militarmente, per la prima volta non lungo il confine del territorio conteso, ma poco più a nord nel punto di contatto tra i rispettivi territori nazionali internazionalmente riconosciuti, creando un pericoloso precedente.

Nel silenzio dell’opinione pubblica internazionale gli eserciti di Armenia e Azerbaijan hanno cominciato a mostrare i muscoli attraverso una serie di esercitazioni congiunte con i rispettivi partner militari (Russia e Turchia). Ovviamente, questo non ha fatto altro che crescere tensioni e corsa alla mobilitazione, come in una profezia auto-avverante.

La storia del conflitto

Il 31 gennaio 1992 una serie di conflitti etnici e istituzionali tra le neonate repubbliche di Armenia e Azerbaijan sfociò in una situazione di guerra aperta. I brevi e sanguinosi combattimenti lasciarono sul campo decine di migliaia di morti e scolpendo nei due paesi un’eredità culturale revanscista e militarista che dura tutt’ora.

Il centro del contendere è il Nagorno Karabakh, una regione storicamente a maggioranza armena, ma incorporata nel territorio azero nel 1921, su decisione dello stesso Stalin. La tregua firmata nel maggio 1994 ha creato un confine di 200km che non si trova su nessuna mappa. Da quel giorno fino ad oggi trattato di pace è mai stato firmato, nessuna trattativa internazionale è mai giunta ad una conclusione.

Il 27 settembre 2020 la situazione è degenerata in guerra aperta. Nel giro di un paio di settimane si è assistito al dispiegamento di forze ingenti, all’impiego di armamenti pesanti in grado di colpire ben oltre i confini del Nagorno Karabakh, al bombardamento di insediamenti civili e edifici religiosi. I morti si contano ormai a decine.

Non è ben chiaro chi abbia dato il via alle ostilità, ma quello che è certo è che l’Armenia è l’attore che più ha da perdere da questa situazione. Mentre l’Azerbaijan rivendica dei territori, l’Armenia si limita a difendere lo status quo sedimentato nel maggio 1994.

 

Paesi a confronto

Se a inizio anni Novanta sia Armenia che Azerbaijan si trovavano in una situazione simile di crisi e tentativo di riscatto post-sovietico, quasi trent’anni dopo gli equilibri economici, militari e geopolitici sono mutati fortemente a favore dell’Azerbaijan. Quest’ultimo ha potuto beneficiare dell’enorme iniezione di capitali esteri derivata dall’export di petrolio e di gas, soldi che sono anche stati spesi per mantenere e rinnovare l’apparato militare.

Armenia vs. Azerbaijan
Infogram

 

I dati macroeconomici testimoniano una differenza di potenziale tra i due paesi quasi incolmabile. Nel 2019, il PIL reale dell’Azerbaijan si assesta a circa 4,5 volte quello dell’Armenia (58 contro 13 miliardi di dollari), e la spesa militare è circa il triplo (1854 contro 637 milioni di dollari). Ma il dato che più fa comprendere il potenziale economico dell’Azerbaijan e il ruolo giocato dall’export energetico è la bilancia commerciale che segna un positivo di 8 miliardi, contro un dato in negativo per l’Armenia (-2,47), paese importatore e privo di particolar risorse.

Un’analisi dell’assetto politico-istituzionale ci permette di comprendere meglio gli attori in campo. L’Azerbaijan dal giorno della sua indipendenza è rimasto strettamente sotto il controllo della famiglia Aliyev e dietro la facciata di una repubblica presidenziale il potere è limitato a transitare da padre (Heydər Aliyev) in figlio (Ilham Aliyev), configurandosi come una dittatura vera e propria. Secondo l’indice di democraticità redatto annualmente dall’Economist, nel 2019 l’Azerbaijan si classificava 146° su 167 stati, rientrando pienamente nella categoria dei paesi autoritari. La politica armena, pur provenendo da una storia molto affine, ha negli ultimi anni visto forti mutamenti e spinte in direzione di una maggiore democraticità, tendenza che risulta anche negli indici redatti dagli osservatori internazionali.

Anche dal punto di vista militare gli equilibri sono mutati. All’inizio anni Novanta i due paesi sostanzialmente si equivalevano; oggi i numeri sono fortemente favorevoli all’Azerbaijan. Bisogna tenere però conto che l’Armenia si trova nella situazione di dover difendere un territorio dalla superficie minore, che conosce molto bene e di cui può sfruttare la conformazione montuosa.

 

Lo scacchiere regionale

Il conflitto si riaccende in un’area già di per sé complessa, in cui varie potenze regionali hanno interessi da difendere. Tra queste spiccano sicuramente Turchia e Russia. Se la presenza militare russa in Armenia è consolidata e si può ricondurre alla presenza di due basi militari (presso gli insediamenti di Gyumri e Erebuni), una massiccia presenza militare turca in Azerbaijan è decisamente una novità. Ankara e Baku sono partner sin dai primi anni Novanta, anche a causa delle affinità etniche, linguistiche e religiose. I comuni interessi energetici, derivati dalla presenza di gasdotti e oleodotti che convogliano idrocarburi verso l’Europa (TANAP), hanno presto saldato l’alleanza. Sta di fatto, che secondo indiscrezioni ormai confermate dalla stampa internazionale, la Turchia avrebbe dirottato alcune migliaia di mercenari fino a poche settimane fa impiegati in Siria. Tra questi sembrerebbero esserci anche alcuni gruppi jihadisti, il che aggiungerebbe un ulteriore livello di complessità rischiando di destare le ire della Russia, che già in passato si è contraddistinta per il pugno di ferro nei confronti dei gruppi di estremisti islamici nella regione. Il rischio è quello di un’escalation del conflitto, che potrebbe ben presto scavalcare la dinamica territoriale e sfociare in un complesso conflitto regionale, in cui sarebbe quasi sicuramente coinvolto anche l’Iran.

 

Crediti immagine: David Stanley, flickr

Giovanni Zorra

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