
Perché l’Africa dovrebbe scegliere proprio noi come partner privilegiato? Ci eravamo lasciati con questa domanda, nello scorso articolo, dopo aver scoperto le crescenti rotte commerciali tra l’Italia e i paesi dell’Africa Subsahariana nonché gli investimenti italiani in quelle zone. Una prima risposta, che veniva dagli stessi esperti che hanno curato il dossier, faceva riferimento alla qualità del Made in Italy come una delle strade maestre per raggiungere l’obiettivo. Tuttavia la domanda non può essere elusa rimanendo chiusi nel nostro bozzolo italiano. Lo scenario entro cui i rapporti tra il nostro paese e l’Africa si collocano è uno scenario globale, e i suoi protagonisti cambiano.
Secondo dati del Fondo Monetario Internazionale riportati in un dossier ISPI, negli ultimi vent’anni la quota dei Paesi cosiddetti BRIC – Brasile, Russia, India e Cina – nel commercio dell’Africa Subsahariana è passata da circa il 3% del 1990 al 20% del mercato nel 2012. La presenza dei BRIC – termine coniato nel 2001 da Goldman Sachs per definire le nazioni che secondo le loro stime avrebbero dominato la scena economica mondiale nei 50 anni a venire – rappresenta dunque uno dei parametri più interessanti da considerare per comprendere un po’ di più quali sono i giocatori di questa partita a sud del Sahara. Insieme a un quinto attore, non meno emergente: la Turchia, il cui valore degli scambi commerciali è passato negli ultimi 10 anni da 2 a 17 miliardi di dollari.
La presenza diplomatica
Un elemento chiave che ci aiuta a comprendere la portata della presenza dei paesi BRIC nell’economia dell’Africa Subsahariana è la presenza diplomatica – le ambasciate – che rappresentano il primo passo per stringere un legame commerciale con il paese ospitante. Come si vede dalla mappa, solo 3 stati su 50 (Gambia, Somalia e Swaziland) non ospitano rappresentanze diplomatiche di nessuno dei BRIC, mentre in più di un terzo (18 su 50) le ospitano tutte. A farla da padrona è certamente la Cina, con 44 paesi coperti su 50, segue la Russia con 36, il Brasile con 32 e l’India con 26. Numeri significativi se pensiamo che l’Italia ne ha in totale 19 e Francia e Inghilterra, le storiche regine di queste terre, rispettivamente 44 e 33.
Per quanto riguarda la Turchia, i dati raccontano una situazione ancora più significativa: ad oggi le ambasciate turche in Africa Subsahariana coprono ben 33 paesi, e sono state tutte aperte nell’arco dell’ultimo decennio.
Brasile
Dal punto di vista della potenza economica, certamente Cina e Russia rappresentano le due nazioni capofila tra i BRIC sulla scena mondiale. Tuttavia nel caso dell’Africa Subsahariana il fenomeno più interessante sembra essere rappresentato dalla rapida e potente ascesa del Brasile, il cui PIL nel 2012 era intorno ai 2.253.000 miliardi di dollari, secondo tra i BRIC solo alla Cina.
I legami tra Brasile e Africa hanno un’origine secolare, ma la vera e propria crescita della presenza brasiliana in Africa si deve alla politica estera di Luiz Lula da Silva che a partire dal 2003, dopo aver inaugurato il Forum Brasile-Africa, ha visitato ben 29 diversi stati africani, linea che sembra poi aver proseguito dal 2011 anche Dilma Rousseff.
Sebbene la presenza brasiliana in Africa rimanga comunque di molto inferiore rispetto a quella cinese, i cui scambi con il continente africano hanno superato nel 2011 i 110 miliardi di dollari, il Brasile in Africa ha fatto passi da gigante negli ultimi anni. Questo è testimoniato dalla crescente presenza diplomatica: 32 ambasciate, solo una in meno del’Inghilterra. Inoltre, sempre secondo dati riportati nel dossier ISPI, in dieci anni il volume degli scambi commerciali con i paesi dell’Africa Subsahariana è passato da 4,2 miliardi di dollari nel 2000 a 27,6 miliardi nel 2011, dove il 90% dell’import è rappresentato dalle risorse naturali.
Turchia
Ma come accennato in precedenza, lo stato emergente più interessante da considerare non è tra i BRIC, ma è la Turchia. La chiave di questa folgorante ascesa pare rappresentata proprio dalla presenza diplomatica. Solo tra il 2009 e il 2011 la Turchia ha piantato 15 bandiere in 15 paesi subsahariani, dato che diventa ancora più significativo dal momento che, diversamente da paesi come Cina, la Russia, o lo stesso Brasile, l’interesse turco nei confronti dei paesi a sud del Sahara ha inizio solo nel 2005, proclamato “Anno Nazionale dell’Africa”, che ha portato tre anni dopo al primo Summit Turchia-Africa ad Istanbul.
Dal 2003 al 2012 le importazioni dai paesi subsahariani sono passate da 3,3 miliardi di dollari a 9,6 miliardi, mentre le importazioni da 2,1 miliardi di dollari a 13,3 miliardi nel 2012. Ciò dimostra che se dieci anni fa la Turchia importava più di quanto esportava, ora è esattamente il contrario, e le esportazioni sono sestuplicate, tanto che dopo la Cina, la Turchia è oggi il secondo partner commerciale dell’Africa Subsahariana.
Per quanto riguarda le importazioni, attualmente il maggior interlocutore per la Turchia è la Nigeria. Secondo dati resi noti dal Ministero dell’Economia turco, le importazioni dalla Nigeria nel 2012 sono state pari a 1,1 miliardi di dollari, quasi il 500% in più rispetto al 2004, facendo della Nigeria il secondo partner tra i paesi dell’Africa Subsahariana. In particolare, gas naturale per 672,9 milioni di dollari, petrolio e derivati per 342,2 milioni di dollari, olio di semi e frutti oleosi per 81,9 milioni di dollari, cuoio e pelletterie per 11,1 milioni di dollari e infine e minerali non metallici per 6,4 milioni di dollari.
Come spiega il turcologo e islamista Federico De Renzi in un dossier intitolato La Politica estera della Turchia in Africa: Neo-ottomanesimo o Post-kemalismo? (2002-2012) il legame tra la presenza diplomatica e la crescita dei rapporti commerciali con i paesi ospitanti è evidente: nel 2009 la Turchia ha aperto un’ambasciata in Tanzania e una in Costa d’Avorio, che hanno avuto come conseguenza un’enorme crescita delle esportazioni verso questi paesi. In Tanzania per esempio nello stesso 2009 sono passate da 3 a 55 milioni di USD, toccando i 170 milioni nel 2011. Lo stesso è accaduto con i paesi che hanno aperto le porte alla diplomazia turca nel 2010, cioè Camerun, Ghana, Mali, Uganda, Angola e Madagascar. In Ghana per esempio si è passati dall’esportare per 18 milioni di USD fino a 219 milioni nel 2011, mentre in Mozambico, dove l’ambasciata è stata aperta nel 2011, si sono raggiunti in poco tempo volumi pari a 103 milioni.
Infine, una piccola curiosità: sempre secondo dati elaborati dall’ISPI, la Turchia è l’unico Stato che ha un’ambasciata in Gambia e in Somalia, dove nemmeno gli Stati Uniti, la Cina, la Francia o l’Inghilterra hanno rappresentanze diplomatiche.
Il caso della Somalia
Tra i due, la Somalia pare certamente il più interessante per i legami sempre più stretti che Ankara sta stringendo con Mogadiscio a partire dal 2011. Durante la carestia in Somalia, come riportato un piccolo report sulla presenza turca in Africa apparso sull’Osservatorio Balcani e Caucaso, la Turchia ha donato 250 milioni di dollari, raccolti in buona parte attraverso le donazioni dei cittadini. Inoltre, si legge, “circa 200 mila somali sono stati curati negli ospedali da campo turchi, mentre 400 studenti sono stati inviati in Turchia per ricevere un’istruzione religiosa dal Direttorato degli affari religiosi. Il governo turco ha anche inaugurato un ospedale con 400 posti letto e comunicato l’intenzione di fornire dei furgoni per la raccolta della spazzatura, di scavare dei pozzi d’acqua, migliorare l’agricoltura, di adibire una discarica per i rifiuti e di costruire un’autostrada tra il centro di Mogadiscio e l’aeroporto.”
A partire da novembre 2011, inoltre, più di mille studenti Somali sono giunti in Turchia a spese dello Stato per dei programmi di formazione. Obbiettivo dichiarato: creare una nuova classe dirigente per la ripresa dello stato.
Foto d’apertura: Dietmar Temps on flickr