
Nel mondo la crisi dovuta alla pandemia di Covid-19 non accenna a mitigarsi. La maggioranza dei paesi – in primo luogo quelli europei – proseguono adottando misure molto restrittive, come la chiusura delle attività commerciali e il mantenimento delle limitazioni agli spostamenti. Sebbene tutto ciò continui a riguardare in modo quotidiano la vita di miliardi di persone, c’è un angolo del mondo, tra Europa, America e Africa, dove il virus comunque è presente ma non spaventa (molto) e soprattutto non limita (troppo) la vita delle persone. Stiamo parlando delle Isole Canarie, un arcipelago di 7 isole, situato in territorio africano, da secoli sotto il dominio dell’attuale Regno di Spagna.
Nelle ultime settimane, infatti, in Italia si è parlato molto di Canarie: nonostante il divieto di spostarsi liberamente tra un comune all’altro del territorio peninsulare, non è passato inosservato ‘l’esodo pasquale’ di coloro che, trovandosi in una condizione favorevole – economica e geografica – hanno ricominciato a viaggiare. Proprio così, dopo svariato tempo trascorso in pigiama sul divano alcuni si sono rimessi lo zaino in spalla concedendosi una rilassante settimana santa presso l’arcipelago Canario; un’ottima ripartenza vacanziera e anche in piena ottemperanza delle norme governative vigenti – gli ormai famosissimi DPCM. Per essere precisi, solo sabato 3 aprile, la vigilia di Pasqua, sono arrivati 10 voli dall’Italia – 5 a Fuerteventura e 5 a Tenerife – tutti rigorosamente provenienti da aeroporti del Nord della penisola. Facendo una rapida stima, considerando una capacità media di 140 passeggeri, di cui 100/120 in media per volo, si ottengono un totale di circa 500/600 viaggiatori arrivati a Fuerte nella giornata di sabato 3.
Nello specifico, Fuerteventura, in seguito alle prime riaperture di giugno 2020 ha riaperto – e non ha mai richiuso – il traffico aereo con l’Italia: spostarsi per turismo infatti rientra tra le ‘situazioni di necessità’ previste dalle misure governative italiane in vigore in questi mesi di pandemia. Ma in verità la presenza italiana a Fuerteventura non si può ridurre a questa circostanza, anzi: negli ultimi 15 anni il numero di italiani trasferitisi stabilmente nell’isola delle Canarie orientali è letteralmente schizzato alle stelle. Cosa è successo?
Gli albori: gli anni ‘90, Schengen, la UE e il boom delle Canarie
All’inizio degli anni ‘90 le Isole Canarie – e più di tutte le altre Fuerteventura – erano già pienamente in marcia nel processo di speculazione del territorio ai fini turistici, mediante l’edificazione delle prime costruzioni alberghiere e extralberghiere di massa. Nel 1986 infatti il Piano Insulare di Avanzamento contava già 11.500 alloggi per turisti. Negli anni novanta il fenomeno non accenna ad arrestarsi, anzi, accade quello che viene definito una “fiebre constructiva“, se non un “desarrollo turistico de masa“; nascono le prime urbanizzazioni, cioè vengono impiegati terreni finora rimasti inutilizzati per la realizzazione di aree completamente pensate per turisti, come Caleta de Fuste e Costa Calma. In tutte queste operazioni vi è pochissima traccia dell’impronta italiana bensì di realtà imprenditoriali provenienti principalmente dalla penisola spagnola, e in secondo luogo da Germania, Regno Unito e Italia.
L’adesione della Spagna alla Convenzione di Schengen nel 1991 inizia a facilitare ulteriormente il traffico turistico all’interno della Comunità Europea; due anni dopo nasce la UE. In assenza di dati sufficienti sulla popolazione a Fuerteventura in quel periodo e per meglio contestualizzare la presenza italiana negli anni ‘90 a Fuerteventura, abbiamo parlato con Daniela, una ragazza originaria della Lombardia, insegnante di yoga, giunta qui nel 1996:
Mi chiamavano Daniela ‘l’italiana’, perché non eravamo molti. Corralejo era un paesino, già di persone non prettamente del posto, principalmente popolato da inglesi e gallegos (abitanti della Galizia, ndr), che gestivano la maggioranza dei locali. Già era un posto molto di passaggio. La gente veniva qui, molto per caso, per farsi qualche settimana, e la maggioranza si fermava per uno o due anni. Io stessa dovevo stare tre mesi, e sono andata via nel 2005. Erano gli anni novanta: al Centro Comercial si ballava sempre, era il momento della techno house; sono stati gli anni più belli della mia vita. Io lavoravo in uno dei pochi negozi di surf che c’erano; nessuno di questi era di italiani. Poi ho iniziato a lavorare alla reception di un residence, dove andavo a lavorare in ciabatte. Anche il turismo italiano era ancora poco sviluppato.
Il terzo millennio: Internet, la crisi edilizia e economica, l’inizio dell’emigrazione italiana e il nuovo turismo
La progressiva ‘comunitarizzazione’ del continente europeo, l’avvento di Internet e dei booking digitali, le opere di ampliamento dell’aeroporto di Fuerteventura del 1997 e del 2006, la nascita dei tour operator – uno su tutti il gruppo tedesco TUI, fondato nel 2002 – sono tutte cause imputabili ad aver contribuito alla propulsione del turismo europeo sull’isola. Come si evince dal grafico sul traffico aereo in entrata, la maggioranza degli arrivi a Fuerteventura è sempre stata, dal 2000 al 2019, di provenienza inglese e tedesca. Queste due tratte, infatti, erano già consolidate da prima del 2000. Con l’inizio del terzo millennio il turismo italiano alle Canarie inizia a decollare, passando dai 7614 arrivi del 2000 ai 61588 del 2005.
In questo contesto l’introduzione dell’Euro nel 2002, congiuntamente alla crescita inarrestabile del debito pubblico italiano, rendono progressivamente il nostro paese meno competitivo rispetto ad esempio al gigante economico-industriale che è la Germania. I governi Berlusconi II, III, IV, e il governo Prodi II non riescono ad invertire questa tendenza e nel frattempo nel 2008 l’economia americana piomba nella crisi con il fallimento di Lehman Brothers e la crisi dei mutui subprime. L’onda negativa si propaga naturalmente anche in Europa affliggendo duramente sia Spagna che Italia. Se già iniziavano ad esserci i viaggi di non ritorno dall’Italia a Fuerteventura, la tendenza si consolida definitivamente dopo la crisi, con il numero di residenti italiani che all’incirca raddoppia tra 2005 e 2008 e tra 2009 e 2015.
L’italiano arriva in cerca di fortuna e inizia ad accaparrarsi quello che può: primo su tutti il settore della ristorazione; progressivamente bar e ristoranti di inglesi e spagnoli ‘se traspasan’ (cedono, ndr) in nostro favore, come testimonia Daniela:
ricordo che quando sono andata via, nel 2005, avevano già costruito tanto a Corralejo, ma di italiani ancora ce ne erano pochi; sono stata fuori 8 anni e poi, nel 2012, sono tornata. E non ci potevo credere: era pieno di italiani.
È importante sottolineare tuttavia come il racconto sia molto influenzato dalla percezione, e dalla conoscenza storica dell’isola; ad esempio la testimonianza di Nico, torinese arrivato nel 2013, è leggermente diversa:
per i primi tre anni parlavo solo spagnolo. Se parlavi italiano la gente si girava dall’altra parte. Nonostante questo iniziava a nascere una vera e propria comunità italiana all’interno di Corralejo, dove gli italiani aprivano imprese fornendo servizi, non dico esclusivamente, ma quasi, ad altri italiani: un esempio lampante sono le imprese di costruzioni di italiani, dove ho lavorato, che si occupavano di andare a sistemare gli alloggi degli italiani che venivano qua e compravano. E magari la moglie del costruttore italiano aveva anche un’agenzia immobiliare.
Alla fine del 2019, a Fuerteventura si contavano circa 8500 italiani con iscrizione al “registro padronal de habitantes”, il cosiddetto empadronamiento, ossia l’iscrizione alle anagrafi municipali dei residenti. Il vicino italiano, come espresso dal Diario De Lanzarote, è descritto come: <<giovane, qualificato e con capacità di relazione>>, sennonché <<una presenza che apporta un contributo positivo all’economia spagnola in quanto individuo pagante delle imposte>>.
Il 2020: nulla è per sempre, nemmeno il turismo di massa
Come ben tutti sappiamo il 2020 inizia con le prime notizie sul Covid-19. Le Canarie ne hanno ben presto a che fare; l’1 febbraio 2020 infatti viene accertato il primo caso di tutto il Regno di Spagna, nell’isola della Gomera. Quello che succede da questo giorno al 14 marzo giorno in cui Pedro Sanchez dichiara lo stato nazionale di allarme – è una costante e perenne rassicurazione da parte delle istituzioni tutte della comunità autonoma situata nella Macaronesia nei confronti dei turisti, a suon di ‘La situazione è sotto controllo’, ‘I contagiati sono asintomatici’, ‘non è vero che le Canarie non sono sicure’, e così via. Viene addirittura pubblicato un video, nella pagina ufficiale del turismo delle Canarie, dove vengono intervistati dei turisti e viene chiesto loro di raccontare come procede serenamente la vita nelle isole, isole in cui 8 su 10 lavoratori dipendenti dipendono dal turismo di massa. Con l’introduzione dello stato di allarme da parte della penisola e la conseguente entrata in lockdown dell’intero Stato, improvvisamente l’afflusso turistico si azzera. La usuale, costante e ingente presenza turistica nelle isole si annulla e nei mesi che seguono l’inizio del lockdown la società si riduce quasi esclusivamente alla popolazione residente, accompagnata solo dai turisti che non sono voluti tornare o hanno preferito restare. A Fuerteventura – e in particolare a Corralejo – ora la presenza italiana si fa più evidente.
Dopo 3 mesi di lockdown, il 28 giugno le Canarie riaprono lo spazio Schengen con il primo volo internazionale, proveniente da Düsseldorf e diretto proprio a Fuerteventura. Le previsioni del Governo delle Canarie sulla ripartenza turistica sono eccessivamente ottimiste: come si vede dal grafico a luglio e agosto del 2020 arrivano, rispettivamente, circa 140.000 e 115.000 passeggeri in meno rispetto al 2019 – con un’incidenza del -66% e del -55%. L’estate finisce e il Covid ‘riappare’: la seconda ondata rimette in ginocchio l’afflusso turistico, sebbene dall’Italia e dalla Germania alcuni voli continuano ad arrivare.
La situazione attuale
Come è possibile vedere dalla mappa, le principali comunità italiane alle Canarie sono a Tenerife e Fuerteventura. Alla fine del 2020 risultano censiti 51.342 italiani alle Canarie – di cui 8464 a Fuerte. La Spagna risulta essere il sesto paese per emigrazione italiana all’estero; il 20% degli emigrati italiani in Spagna risiede alle Canarie, dove tra le varie cose ricordiamo che vige la tassazione al 7%. Nello specifico, e come già detto, la maggioranza degli italiani a Fuerteventura si concentra nel municipio della Oliva, nel nord dell’isola, e più precisamente a Corralejo: sebbene non vi sia una statistica precisa per la specifica città, sappiamo che a fine 2020 nella Oliva risultavano 4660 persone ‘empadronate’; la cifra è già aumentata a 5403 a metà marzo 2021.
La verità è che, come si dice in questo post Facebook del gruppo ‘Italiani a Fuerteventura’, nessuno sa quanti siamo.
Tutti quelli che sono arrivati e che continuano ad arrivare come ‘turisti di lunga durata’, ‘nomadi digitali’ e così via non figurano nelle cifre delle istituzioni delle Canarie. All’incirca, gli italiani sono nell’ordine dei 10.000 a Corralejo in questo momento: il fenomeno migratorio è abbastanza evidente, infatti basta uscire di casa e si ha molta più probabilità di sentir parlare italiano che spagnolo. E non è un segreto: la percezione del vicino italiano adesso non è così positiva come quella di due anni fa. Facendo un giro a Corralejo, si contano circa un totale di circa 150 tra bar e ristoranti: di questi circa 60 sono gestiti da italiani, quindi circa il 40%. Anche nei locali non posseduti da italiani si riscontra una elevata presenza di personale italiano.
Quello che a me ora spiace, della Fuerteventura di oggi, è proprio questa mancanza di interesse da parte dell’italiano medio per quello che è l’isola, per la cultura, per le persone di qua, i majoreri, che noi italiani tendiamo a disprezzare. Adesso c’è molto razzismo, sia da parte degli italiani verso i majoreri che viceversa. Ma il razzismo nei nostri confronti non è causato dalla chiusura della popolazione locale, anzi: loro sono sempre stati molto aperti con gli stranieri; però gli italiani che sono qua, vengono solo per il sole, si integrano poco, e tanti non parlano neanche una parola di spagnolo. Questo è cambiato, c’è molto meno rispetto da parte nostra.
Ma la storia di molti non è la storia di tutti; se c’è quello che ha comprato le case in tempi non sospetti e ora le affitta e fa la bella vita c’è anche chi, a prescindere da ogni morale, pregiudizio o cultura, vive bene, celebra la bellezza dell’isola e risiede con rispetto: ad esempio Silvia, che gestisce una pizzeria con il marito e si è trasferita qua 6 anni fa con le bimbe, dice:
Io mi sento integrata. Abbiamo imparato con piacere la lingua e con calma, partendo dai residenti, ci siamo fatti conoscere e l’attività ha preso piede. Ora ho clienti italiani e majoreri, residenti e turisti, le bimbe vanno a scuola e si trovano bene. Venendo da Milano sicuramente non posso lamentarmi di come sto.
In questo contesto socio-economico, nelle ultime settimane l’Ayuntamiento de La Oliva, l’equivalente delle nostre istituzioni comunali, ha tappezzato il centro cittadino di Corralejo con una serie di cartelli pubblicitari ‘non-tanto-progresso’, in spagnolo, inglese e italiano, dove si sollecita la popolazione a seguire rigidamente le misure anti-covid imposte a suon di messaggi come ‘Tu scegli. mascherina o respiratore?’ oppure ‘La stupidità non conosce confini, ma bisogna porre dei limiti agli stupidi’, che sicuramente a tutto servono men che a aumentare l’integrazione tra il popolo italiano e quello majorero, o il senso di vicinanza tra popolazione e classe politica.
Il piano di Gran Canaria: Canarias Destino Seguro
Turisti che passeggiano per il centro cittadino di Corralejo, 12 aprile 2021 (foto: Riccardo Monticelli – CC BY SA 4.0)
Lo scorso 3 marzo il settore turismo del Gobierno de Canarias ha presentato un piano per la riattivazione turistica delle Canarie chiamato Canarias Destino, in cui sostanzialmente si propone di investire in digitalizzazione e servizi di analytics ad-hoc per fornire <<un’offerta turistica personalizzata>>. In altri termini, il piano del governo è quello di trasformare le Isole in un paradiso per nomadi digitali e surfisti, con tutti i confort del caso, Covid-free e magari anche all’insegna della sostenibilità ambientale, anche se quest’ultimo punto risulta chiaramente meno prioritario in termini capitalistici, dato che ad oggi 15 aprile 2021 il 68,09% in meno delle strutture alberghiere presenti nell’arcipelago risulta operativo.
Come finirà? Lo scopriremo solo vivendo. Intanto sappiamo che il Regno ha scelto Baleari e Canarie come luoghi di prova per il passaporto vaccinale Covid-19. E sicuramente qualcosa in ambito fiscale succederà: destino seguro si, ma saranno veramente contenti i majoreri – e in generale i canari – di ricevere nomadi digitali dal resto del mondo che pagano le tasse ‘a casa loro’?
Crediti immagini di copertina: foto di Riccardo Monticelli – CC BY SA 4.0