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Discriminazioni di genere: secondo il WEF serve un secolo per superarle. E qual è la situazione in politica?

12 Aprile 2021 - Lorenza Verrone

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Le discriminazioni di genere riguardano le donne di tutto il mondo in tutti gli aspetti della vita e l’ambito della politica non fa certo eccezione.

Secondo il Global Gender Gap Report 2020 del World Economic Forum, servirà un secolo (99,5 anni, per la precisione) per colmare le differenze di genere, in ogni ambito, tra uomini e donne. Se fosse corretta, la stima sottolineerebbe come solo le future generazioni potrebbero vedere una situazione davvero mutata verso la parità, mentre le donne e gli uomini che si battono oggi per una maggiore equità non potranno mai davvero vivere in quella società per cui si battono.

Il progetto She is a Scientist si batte da anni per una nuova narrazione delle donne nella scienza come strategia essenziale per combattere le discriminazioni di genere a ogni livello. Clicca qui per leggere l’intervista con la fondatrice Nicole Ticchi e Serena Fabbrini

Sessismo in Parlamento

In ogni caso, il Report del WEF fornisce una panoramica completa dello stato attuale riguardo il divario globale di genere e degli sforzi per colmarlo; un utile strumento di valutazione per monitorare i progressi dei singoli Paesi. Secondo i dati del WEF nella classifica che riguarda il “political empowement”, ovvero il ruolo delle donne in politica, Islanda, Norvegia e Finlandia sono i Paesi ai vertici, mentre l’Italia si posiziona al 44esimo posto e lascia dietro sé solo quattro Paesi dell’unione europea: Lussemburgo, Grecia, Malta e Cipro.

Non è solo una questione di rappresentanza. In Europa, dove in media le donne rappresentano solo il 29% dei parlamentari, la presidente dell’APCE Liliane Maury Pasquier ha lanciato l’iniziativa #NotInMyParliament, che ha lo scopo di sensibilizzare sulla portata del fenomeno del sessismo e delle molestie subite dalle parlamentari e al fine di incoraggiare interventi destinati a porre fine a tali comportamenti nei parlamenti.

Sul piano europeo nell’ambito del potere politico l’Italia si classifica nella 16esima posizione con un punteggio di 49.3%, al di sotto della media europea che è del 56.9%.

 

Le donne e la politica nella storia italiana

Nel 1946, su 556 deputati che entrano all’ Assemblea Costituente solo 21 sono donne, poco meno del 4%. Teresa Mattei, la più giovane delle costituenti, racconta la reazione dei deputati al suo ingresso in aula e delle sue 20 colleghe: paternalismo, dileggio, stima e soprattutto imbarazzo.

Se bellezza e bruttezza degli uomini raramente sono prese in considerazione, riferite ad una donna diventano spesso una categoria politica: della Senatrice ferrarese Luisa Balboni, più che ricordare il suo ruolo di primo sindaco donna di capoluogo di provincia, si diceva che “sa sorridere con bonarietà”; Teresa Noce, partigiana prima e politica del partito comunista poi, diventa la “miss racchia”; Lina Merlin una “zitella mascolinizzata”. Tutte queste vicende sono raccontate nel libro Stai zitta e va’ in cucina di Filippo Maria Battaglia edito da Bollati Boringhieri.

Le 21 donne dell’Assemblea Costituente in un articolo di giornale della Domenica del Corriere, numero 19 dell’anno 1948. Crediti immagine: Camera.it

L’aspetto fisico diventa un motivo non solo per non votare una candidata, ma anche per sminuirne il ruolo e le capacità: nei manifesti, sia PCI che DC, le militanti avversarie vengono ritratte come goffe e grasse. Se la presunta bruttezza è un’arma da scagliare contro senatrici e deputate, la loro bellezza viene manipolata per giustificarne i meriti: nel 1948 la comunista Laura Diaz viene eletta alla camera con 40mila preferenze e allora “ci si chiede se questo plebiscito sia offerto alla sua bellezza o alle sue capacità politiche”. In tempi più recenti, quindi nella seconda Repubblica, la bellezza viene teorizzata come categoria politica. “Sono il primo a volere la presenza delle donne carine, e anche brave in parlamento”, dice nel 2005 l’allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi in un’intervista rilasciata a Rula Jebreal.  Lo stesso Berlusconi utilizzò un’espressione ingiuriosa contro Rosy Bindi durante una puntata di Porta a porta del 2009. Nel 2014 Beppe Grillo paragonò le candidate capolista del PD alle elezioni europee a “quattro veline”. Pochi mesi fa, nel febbraio 2021, è stata la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni è essere insultata durante una trasmissione radiofonica, mentre lo scorso anno la vicepresidente della Regione Emilia-Romagna Elly Schlein ricevette via twitter un commento inopportuno che fu riportato e commentato da numerose testate.

A Elly Schlein e Giorgia Meloni abbiamo dedicato un approfondimento in numeri con due articoli a firma di Sara Magazzino: clicca qui per l’articolo su Elly Schlein, qui per quello su Giorgia Meloni

 

Una missione “essenzialmente familiare”

Bella o brutta che sia, però, poco importa: la donna deve rimanere a casa, la sua missione è “essenzialmente familiare”. Fu il politico della Democrazia Cristiana Giorgio La Pira a mettere le cose in chiaro quando, nel 1946, si discuteva dell’articolo 37 della nostra Costituzione sui diritti della donna lavoratrice: la moglie deve occuparsi del focolare. “La specialità e l’essenzialità della missione della donna è quella della maternità” spiega Umberto Tupini; Aldo Moro parlando al movimento femminile DC tuona “la donna ha un compito primario e irrinunciabile, quello di garantire il buon funzionamento della comunità familiare” (lo riporta la giornalista Marta Boneschi nel libro Santa pazienza edito da Mondadori).

Più recentemente è stato addirittura il sito del Ministero della Salute a destare stupore per la pubblicazione di una frase colma di stereotipi di genere:

“Il fumo fa male a uomini e donne, ma le donne che fumano hanno diversi motivi per fare particolare attenzione, anche in considerazione del loro ruolo familiare e sociale quali promotrici e custodi della salute.”

 

Donne ai vertici delle istituzioni

Per quanto riguarda gli incarichi di potere le donne vengono quasi sempre lasciate in panchina.
Nei primi trent’anni della Repubblica i consigli dei ministri furono composti esclusivamente da uomini. In tutta la storia repubblicana, su 4864 tra presidenti, ministri e sottosegretari solo 319 sono state donne, il 6.5%.

È il 1976 quando per la prima volta il presidente del consiglio Giulio Andreotti nomina come ministro una donna, la democristiana Tina Anselmi al ministero del lavoro e della previdenza sociale.
Nella storia della Repubblica italiana solo tre donne sono state ministre dell’Interno, solo tre ministre degli Esteri e solo due della Difesa e nessuna è stata a capo di un ministero economico.
Quattro sono state nominate senatrici a vita: Camilla Ravera nel 1982, Rita Levi Montalcini nel 2001, Elena Cattaneo nel 2013 e Liliana Segre nel 2018.
Tre donne sono state alla presidenza della Camera dei deputati: Nilde Iotti dal 1979 al 1982, Irene Pivetti dal 1994 al 1996 e Laura Boldrini dal 2013 al 2018.
Una sola donna ha ricoperto e ricopre tuttora la carica di presidente della Camera del Senato: Maria Elisabetta Alberti Casellati in carica dal 2018.

Oggi nell’attuale governo presieduto da Mario Draghi su un totale di 23 ministri, 15 sono uomini e 8 sono donne: Marta Cartabia alla Giustizia, Luciana Lamorgese all’Interno, Mariastella Gelmini agli Affari generali e Autonomie, Mara Carfagna al Sud e Coesione Territoriale, Fabiana Dadone alle Politiche giovanili, Elena Bonetti alle Pari opportunità, Erika Stefani alla Disabilità e Cristina Messa all’Università. Di queste, 5 sono ministre senza portafoglio.

È evidente che sia presente un problema culturale persistente nella nostra società e siamo ben lontani dal risolverlo. È diventato più frequente sentire le espressioni “empowerment femminile” e “gender gap” nella discussione politica ma, nonostante ciò, la differenza di rappresentanza tra donne e uomini è ancora oggi sbilanciata e di conseguenza le donne italiane, pari al 51,3% della popolazione, rimangono fortemente sottorappresentate nelle istituzioni.

Lorenza Verrone

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