Nel precedente post di questa serie rilevavamo come il nostro paese non sia certo la patria dell’imprenditoria giovanile, a causa di una formazione imprenditoriale pressoché inesistente nel percorso scolastico, ma anche di difficoltà legate alla troppa burocrazia e al peso fiscale. Ma c’è anche un altro problema che non può essere lasciato da parte: mettersi in proprio in Italia non paga. O meglio: non paga i giovani, che magari per esercitare quella professione hanno sudato durante gli anni universitari, il tirocinio e, magari, studiato per superare un esame di stato.
In media un trentenne iscritto a una cassa di categoria guadagna un quarto di un cinquantenne che fa lo stesso lavoro e un quarantenne guadagna la metà rispetto a un collega di circa 10 anni più vecchio.
E la situazione è ancora peggiore fra chi svolge una professione non regolamentata da un ordine professionale. Qui la media dei redditi fra le diverse classi di età è di 15 mila euro annui lordi per le partite iva e i 18 mila euro circa per i parasubordinati (dato 2012). Per i lavoratori a progetto non si toccano i 10 mila euro annui lordi.
Ma a preoccupare maggiormente è il divario di genere fra liberi professionisti: le donne, altrettanto laureate, guadagnano in media due terzi rispetto agli uomini.
Siamo andati a cercare i dati sui redditi dei liberi professionisti italiani, sia quelli iscritti a un ordine professionale, e che dunque pagano i contributi previdenziali alla propria cassa di categoria, sia coloro che non potendolo fare sono costretti a pagare la dolente Gestione Separata dell’INPS, che attualmente prevede un’aliquota contributiva che sfiora un terzo dei ricavi. I dati che abbiamo raccolto provengono dal Quinto rapporto AdEPP (Associazione degli Enti Previdenziali Privati) e da una relazione del professor Di Nicola dell’Università La Sapienza di Roma su dati Gestione Separata INPS.
(Ancora) generazione 1000 euro
Un trentenne iscritto a un ordine professionale oggi guadagna in media 15 mila euro lordi l’anno, che significa 1250 euro al mese, a cui poi bisogna sottrarre tasse e contributi. Decisamente meno di un operaio o un cassiere. Le cose vanno ancora peggio per i giovani lavoratori autonomi iscritti all’INPS, che raggruppano un’enorme eterogeneità di professioni: le partite iva nella fascia 30-35 anni guadagnano in media 11.300 euro lordi. E non bisogna dimenticare che, come si sottolineava in precedenza, le aliquote previdenziali INPS sono molto più alte rispetto a quelle delle casse private.
Quello che ne emerge è dunque una panoramica sconsolante, ma non solo per i più giovani: in media un libero professionista in Italia ha un reddito reale (al netto cioè dell’inflazione) intorno ai 26 mila euro, il 16% in meno rispetto a 10 anni fa.
Non bisogna dimenticare poi che qui stiamo parlando di guadagni lordi, che a ben vedere non descrivono ancora perfettamente il livello di povertà di molti (magari non più giovanissimi) lavoratori autonomi. È sufficiente fare due conti per vedere che paradossalmente spesso superare uno scaglione di reddito non è sempre una buona notizia, a causa dell’aumento dell’aliquota IRPEF, tutt’altro che proporzionato. Un giovane che superi i 30 mila euro annui di fatturato – che gli permetteva di usufruire del regime fiscale agevolato cosiddetto “dei minimi” – si ritrova l’anno successivo un guadagno al netto di tasse e contributi molto più basso rispetto a quanto gli rimane in tasca dopo aver fatturato magari 10 mila euro in più rispetto all’anno precedente.
Le donne guadagnano due terzi. Talvolta la metà
Evidentemente però la media serve a poco: il vero dato sono le differenze abissali di reddito per fasce d’età e per genere. Differenze che si riscontrano per tutte le professioni, anche per quelle storicamente considerate più redditizie come medici e avvocati.
Le iscritte alla gestione separata INPS (grafico qui sopra) che svolgono un lavoro parasubordinato guadagnano esattamente la metà rispetto ai colleghi maschi: 11 mila euro lordi a fronte di 22 mila, che di certo non sono comunque molti.
Fra le partite iva la forbice è leggermente meno aperta: 12 mila euro lordi rispetto ai 17 mila guadagnati dagli uomini in media. Il divario di genere emerge sostanzialmente a carriera avviata, cioè dopo i 30 anni: prima sia ragazzi che ragazze con partita iva non toccano i 10 mila euro lordi. Dai 35 anni in su, quando in media subentra la maternità, le differenze diventano notevoli. In media una donna di 40 anni con contratto di lavoro parasubordinato o con partita iva ha un reddito (dato 2012) di 13 mila euro, mentre un analogo quarantenne di 25 mila euro se è un lavoratore parasubordinato e di 18 mila euro se possiede partita iva.
Le differenze di genere sono impressionanti anche fra le libere professioni regolamentate da un ordine professionale, che prevedono quindi una formazione almeno universitaria. Nel 2014 il reddito medio di una donna è stato di 24.200 euro lordi, contro i 41.600 euro degli uomini. Il 58% dello stipendio.
E non parliamo certo solo delle regioni sud Italia. Se consideriamo tutte le fasce d’età, in Lombardia le lavoratrici autonome guadagnano poco più della metà dei colleghi uomini, e lo stesso avviene in Lazio, Liguria, Valle D’Aosta. Studiare, faticare in un tirocinio o uno stage, superare esami di stato, continuare a studiare per rimanere al passo con la professione sembra non pagare molto in Italia. Soprattutto se sei under 30.
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Immagine: locandine “Generazione 1000 euro” (particolare), di Massimo Venier (2009