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Italia, lavoro non è sinonimo di impresa

23 Marzo 2016 - Cristina Da Rold

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Lo sappiamo bene: oggi entrare nel mondo del lavoro anche con un’elevata istruzione richiede una qualche dose di creatività, che si traduce spesso anche nel provare a mettersi in proprio, crearsi una professionalità in continua formazione. Una formazione che spesso non è la più ovvia conseguenza del percorso di laurea da cui si proviene. Ma quali sono i numeri di questo fenomeno in Italia?  A quanto pare, nonostante le premesse, il nostro paese non è la patria delle giovani partite iva. Sono molte è vero, ma solo in relazione alla forza lavoro, che fra i giovani con meno di 30 anni è fra le più basse in Europa.

Siamo bombardati da più e più parti dall’idea secondo cui il nostro paese starebbe diventando il paese dei giovani imprenditori, fra chi decide consapevolmente di mettersi in proprio e chi lo è solo sulla carta, per necessità del proprio datore di lavoro. Si riempiono pagine di giornali di storie di makers, artigiani digitali, start-up innovative e spin-off, ma per quanto queste storie siano molte e spesso davvero incoraggianti, le statistiche che cercano di tirare le somme di un sistema paese vanno in tutt’altra direzione. Un paese con un tasso di crescita di liberi professionisti e imprese fra i più bassi in Europa, e con un enorme ritardo quanto a formazione universitaria in materia di imprenditorialità.

Insomma, i giovani “imprenditori” sembrano tanti, ma solo perché i giovani che lavorano nel complesso sono pochi. Secondo il report di Istat Noi Italia 2015, il numero dei NEET italiani (giovani che né studiano né lavorano) era nel 2013 il più alto d’Europa dopo la Grecia. Inoltre, il numero delle partite iva aperte da giovani con meno di 35 anni è stato nel 2015 il più basso degli ultimi 6 anni. Per non parlare del gap salariale: oggi il reddito medio di un giovane professionista dai 25 ai 30 anni, che svolge una delle professioni regolamentate da un albo professionale (non si parla qui solo di partite iva) è di poco più di 12 mila euro e fra i 30-35 enni si sale ad appena 17 mila euro (dato AdEPP – Associazione Enti Previdenziali Privati, 2014).

Colpa della crisi, si può dire. Eppure il team di esperti che ha elaborato un recente report di Eurofund, focalizzato proprio sull’imprenditoria giovanile, dal titolo “Youth entrepreneurship in Europe: Values, attitudes, policies”, evidenzia come proprio l’imprenditorialità dei giovani è un aspetto fondamentale per uscire dalla crisi, soprattutto se intesa come iniziativa per creare lavoro.

 

Liberi professionisti: in Italia la crescita più bassa d’Europa

L’Italia però su questo è profondamente indietro rispetto all’Europa e non si tratta certo di una caratteristica delle nuove generazioni: il nostro paese mostra in media una minor propensione al mettersi in proprio, anche fra le generazioni oggi più adulte.

Secondo un altro studio, condotto dagli esperti dello European Forum for Independent Professionals proprio sull’evoluzione della libera professione in Europa (i cosiddetti iPros), in 10 anni dal 2004 al 2014 l’Europa ha visto un incremento del 45% del numero di liberi professionisti (non stiamo parlando di imprese): in Italia l’incremento è stato appena del 12%, contro l’85% della Francia, il 63% del Regno Unito e il 43% della Germania.

Un trend confermato anche dai dati provenienti dal già citato studio Eurofund: solo lo 0,76% delle persone fra i 18 e i 64 anni era stata coinvolta in una qualche attività imprenditoriale negli ultimi 3 anni, la percentuale più bassa d’Europa al pari della Grecia. In Inghilterra siamo intorno al 7%, in Norvegia si sfiora l’8% e in Danimarca si supera addirittura l’11%.

 

Procedure troppo complesse

Ciò non significa certo che in Italia non c’è chi si dice motivato a fare impresa o a mettersi in proprio, ma la percezione è di grande difficoltà, sia per le procedure burocratiche considerate troppo complesse, che per la mancanza di un sostegno economico adeguato da parte del governo. Questo dato viene confermato anche dal già citato report sulla libera professione: il 76% dei rispondenti italiani al sondaggio aveva dichiarato nel 2012 che avviare un proprio business in Italia è molto difficile. La percentuale più alta d’Europa, una percezione questa che vale anche per i giovanissimi.

Tuttavia fra i più giovani la spinta  – forse anche per la difficoltà di trovare un impiego – non manca: secondo il sondaggio di Eurofund il 38% dei giovani intervistati con meno di 35 anni dichiara che nonostante le difficoltà è fattibile mettersi in proprio (nella media con il resto d’Europa) e il 63% addirittura desiderabile.

 

Il tasso di nuova imprenditorialità più basso d’Europa

A mostrare questa tendenza è il Global Entrepreneurship Monitor Italia 2014, nota ricerca annuale sull’imprenditorialità a livello globale, condotto dall’Università di Padova in collaborazione con l’Università Politecnica delle Marche. Il rapporto, che non parla di liberi professionisti ma di imprese, mette in luce alcuni aspetti: anzitutto esso conferma il trend di scarsa imprenditorialità del nostro paese. In Italia la TEA (tasso di nuova imprenditorialità) è sempre stata molto limitata negli ultimi anni, in particolare con l’avvento della crisi, collocando il nostro paese all’ultimo posto in Europa. Ma soprattutto evidenzia come in Italia, c’è motivazione ma anche tanta paura di fallire. Una percezione che va oltre il consueto rischio d’impresa che ogni libero professionista deve mettere in conto.

Troppo poca formazione imprenditoriale

Se non si investe nella scuola, e in particolare in un formazione continua che accompagni i giovani anzitutto a comprendere le dinamiche del mondo del lavoro di oggi – spiegano gli esperti – si va poco lontano, e l’Italia mostra un enorme ritardo italiano circa l’offerta di corsi di formazione imprenditoriale anche a livello universitario rispetto agli altri paesi industrializzati. Negli ultimi decenni si è registrata a partire dagli Stati Uniti un’esplosione di corsi specie a livello universitario per stimolare l’imprenditorialità, mentre l’Italia su questo ristagna. Come rilevano gli esperti che hanno prodotto il Global Entrepreneurship Monitor, nell’anno accademico 2009-2010 si contavano in Italia 68 corsi di questo tipo nelle facoltà di economia e 15 dalla facoltà di ingegneria. Negli Stati Uniti se ne contano oggi oltre 5000.

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Immagine in apertura: locandina (particolare) di Tutta la vita davanti di Paolo Virzì (2008)

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Cristina Da Rold

Freelance data-journalist and scientific communicator

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