Pandemia: aumenta il consumo di psicofarmaci e diminuisce la facilità di accesso all’assistenza psicologica

Il 20 Marzo è la giornata internazionale della felicità, istituita dall’assemblea generale dell’ONU nel 2012. Ad un anno di distanza dal primo lockdown dovuto alla pandemia di COVID-19 questa ricorrenza potrebbe sembrare quasi una crudele beffa. Le notizie che ci giungono dagli organi nazionali di salute pubblica, infatti, lasciano intendere che attualmente gli sforzi necessari per rendere giustizia a quello che l’ONU definisce “uno scopo fondamentale per l’umanità” dovranno essere profusi e costanti nel prossimo futuro. Le preoccupazioni per la salute e la crisi economica in corso sono perfetti catalizzatori per far precipitare quelle situazioni di vulnerabilità psicologica pregresse o acquisite in seguito alla pandemia. Numerosi studi in tutto il mondo stanno infatti documentando un drammatico aumento nell’incidenza delle principali forme di sofferenza mentale.
Pandemia e sofferenza mentale
A tal proposito, il recentissimo XXII congresso nazionale della Società Italiana di NeuroPsicoFarmacologia ha messo in luce dati preoccupanti, in particolare per chi entra in contatto diretto con il virus Covid-19. Tra le persone contagiate il 42% sviluppa sintomi d’ansia o insonnia, il 28% inizia a soffrire di disturbo post-traumatico da stress ed il 20% di disturbo ossessivo-compulsivo. Inoltre, il 32% di chi ha contratto il virus sviluppa sintomi depressivi. Fra i familiari dei pazienti deceduti, invece, si stima che almeno il 10% andrà incontro ad un lutto complicato, che consiste in una difficoltà di elaborazione dell’esperienza di perdita, in grado di compromettere seriamente il benessere psicofisico della persona.
Inoltre, come è noto da tempo nella letteratura scientifica riguardo alla sofferenza mentale, alcune variabili socioeconomiche, che la pandemia sta vertiginosamente moltiplicando, sono in grado di esacerbare la sofferenza mentale. Ad esempio, il senso di alienazione dovuto alla rimozione delle attività sociali per il bene della salute pubblica ha gravi effetti deleteri per la salute mentale, molte ricerche scientifiche, infatti, sottolineano l’importanza del sostegno sociale come fattore protettivo per il benessere psicologico. Sappiamo, inoltre, che la crisi economica che stiamo attraversando sta mettendo in pericolo numerosi posti di lavoro. La letteratura scientifica indica che il rischio di depressione raddoppia in chi ha un reddito inferiore ai 15.000 euro all’anno e triplica in chi è disoccupato.
Secondo Claudio Mencacci, co-presidente della Società Italiana di NeuroPsicoFarmacologia e direttore del Dipartimento Neuroscienze e Salute Mentale ASST Fatebenefratelli-Sacco di Milano, si prospetta che, nel 2021, i nuovi casi di depressione generati dalla crisi economica saranno almeno 150.000.
Come far fronte a questa vera e propria Sindemia?
Con il termine “Sindemia” ci si riferisce alle ripercussioni sanitarie e sociali dovute all’avanzare simultaneo di due malattie, in questo caso il Covid-19 e le problematiche di salute mentale da esso causate o aggravate. Come è possibile vedere dal grafico sottostante, sembra che gli italiani stiano tentando di curarsi assumendo quantità maggiori di ansiolitici rispetto a prima della pandemia.
Tuttavia, già nel 1993 il celebre studio Londra-Toronto dimostrò che l’utilizzo di ansiolitici, nel lungo termine, può cronicizzare le problematiche d’ansia invece che attenuarle. Le benzodiazepine in particolare, farmaci molto popolari, causano lo sviluppo di fenomeni di tolleranza e dipendenza e possono essere molto pericolosi se assunti insieme a bevande alcoliche.
I più recenti sviluppi nel campo della psichiatria e della psicologia clinica sono concordi nell’affermare che le terapie farmacologiche impiegate per trattare la sofferenza mentale diano i massimi benefici se affiancati ad una terapia di tipo psicologico. La psicoterapia insegna al paziente a gestire la sintomatologia invalidante intanto che il farmaco la attenua, nell’ottica di sospenderne l’assunzione quando egli sarà in grado di farcela senza l’aiuto di medicinali. Altrimenti, per usare una similitudine, sarebbe come tentare di svuotare la stiva di una nave senza chiudere la falla dalla quale imbarchiamo acqua.
Siamo pronti ad affrontare il problema?
Ma il nostro paese è pronto per fornire tutta l’assistenza psicologica che dovrebbe, in teoria, accompagnare le decine di migliaia di confezioni di psicofarmaci prescritte annualmente? Una possibile risposta a questo quesito (lo anticipiamo, negativa) ci giunge da una recente inchiesta condotta da una testata spagnola, Civio.es, appartenente all’European Data Journalism Network e dalle dichiarazioni del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi (CNOP).
Nel 2020 secondo un’indagine condotta dall’Istituto Piepoli per il CNOP, la percentuale di cittadini che durante i primi mesi di pandemia ha sentito la necessità di ricorrere all’assistenza psicologica è passata dal 40% al 62%. In generale, secondo questa indagine 8 italiani su 10 ritengono che il ricorso allo psicologo possa essere utile date le difficili circostanze legate alla pandemia e vorrebbero che il sistema pubblico assicuri questo tipo di assistenza.
Tuttavia, sempre secondo il CNOP, in Italia gli psicologi che lavorano per il sistema sanitario nazionale sono 6mila per 60 milioni di abitanti, uno ogni 10.000. Ciò pone necessariamente il problema per i cittadini di non poter sempre usufruire delle tariffe agevolate della sanità pubblica e doversi rivolgere a privati per avere una tempestiva assistenza psicologica. L’inchiesta a livello europeo condotta da Civio.es, infatti, evidenzia che in Italia i tempi di attesa per poter accedere a visite psicologiche nel sistema sanitario nazionale sono molto lunghe, da alcune settimane fino a 120 giorni dalla richiesta, a seconda della regione e dell’urgenza del caso.
Parallelamente, sempre secondo la testata spagnola, siamo il quinto paese in Europa nella classifica europea del costo dell’assistenza psicologica sul mercato privato. Un’ora dallo psicologo, infatti, nel nostro paese costa in media 75 euro, un prezzo esorbitante se consideriamo che chi percepisce il salario minimo (883€) dovrebbe lavorare 12 ore e 10 minuti per permettersi una singola visita e ricordiamo che la cadenza della maggior parte delle terapie psicologiche è settimanale.
Benessere psicologico è benessere generale
Garantire assistenza psicologica gratuita nel sistema sanitario nazionale è una necessità che gioverebbe non solo alla salute pubblica, ma anche a quella delle casse statali. Infatti per ogni euro speso per pagare uno psicologo all’interno di un ambulatorio pubblico se ne risparmierebbero 2,5 per la cura di quelle condizioni che, senza questo tipo di screening, sarebbero peggiorate necessitando inevitabilmente di cure più costose in seguito. Un dato noto da tempo e già applicato largamente in altri paesi Europei.
Augurandoci che la tematica acquisti sempre maggiore evidenza a livello nazionale ricordiamo, in chiusura, che la salute mentale è parte integrante della definizione di benessere fornita dalla Costituzione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS):
“La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non semplice assenza di malattia o di infermità”.
Crediti immagine di copertina: Anthony Tran on Unsplash