“She is a scientist”, una nuova narrazione delle donne impegnate nella scienza. Intervista a Nicole Ticchi e Serena Fabbrini

Approfondimento realizzato dalla classe del corso di Datajournalism organizzato dall’ente di formazione IFOA Reggio Emilia (settembre-ottobre 2020) nell’ambito del progetto DataLab. La classe: Martina Camprincoli, Serenella Caputo, Clarissa Graziosi, Sorel Kathy Makouo Mbah, Matteo Menozzi, Algert Prencja, Antonio Oliviero, Elena Steri, Rossella Vetrano, Gloria Zambelli. Docente: Enrico Bergianti
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I numeri sembrano parlare chiaro: il Nobel non è un premio per donne, specialmente nelle discipline scientifiche. Cosa accade però al di là delle mura dell’Accademia delle Scienze di Svezia? La scienza davvero non è “roba da donne”?
Nel 2012 la Commissione europea ha realizzato una campagna pubblicitaria per promuovere una maggiore parità di genere in questo settore con lo spot “Science, it’s a girl thing!”.
Il risultato fu un vero e proprio fiasco, mettendo in luce il fatto che, anche all’interno delle istituzioni, non fosse ancora chiara la natura del problema, o, comunque non esistesse una narrazione a riguardo. La situazione è ancora la stessa?
“Quel video fu davvero imbarazzante, voleva combattere degli stereotipi di cui però era intriso. Un pessimo spot, considerando anche che arrivava dalla Commissione Europea, che non a caso ha rimosso quel video dai suoi canali ufficiali”: parola di Nicole Ticchi e Serena Fabbrini, due comunicatrici scientifiche attive nel progetto “She is a scientist”, dedicato esattamente a questi temi.
Ticchi, riminese che vive a Bologna, è una chimica farmaceutica di formazione e da qualche anno divulgatrice scientifica di professione presso diversi committenti, tra cui l’agenzia bolognese Tecnoscienza. Fabbrini, di Ravenna, è una storica della scienza e comunicatrice che racconta spesso per lavoro storie di donne di scienza. Oltre a She is a scientist collabora tra gli altri con il CICAP e con il giornale online OggiScienza.
C’è davvero questa disparità di genere che emerge dai numeri del Nobel nel mondo della scienza?
Nicole Ticchi: “Parlo per quella che è stata la mia esperienza come ricercatrice: fra gli assistenti di ricerca le donne sono numerose, anche nelle STEM (acronimo che sta per Science Technique Economics and Machine: cioè le classi di laurea ad indirizzo scientifico tecnologico, ndr).
Tra i professori ordinari le donne tendono a diminuire, e per come funzionano i meccanismi di lavoro di alcuni laboratori, non tutti, è più facile trovare ricerche e paper firmati da ordinari, quindi spesso da uomini.
Tuttavia, se osserviamo le pubblicazioni, si vede che il nome di donne è molto maggiore rispetto a prima. Soprattutto nelle scienze della vita, le donne sono presenti in un numero abbastanza nutrito”.
Serena Fabbrini: “Da una parte c’è questo problema di ruoli all’interno del mondo della ricerca, dall’altra parte bisognerebbe fare una valutazione caso per caso, laboratorio per laboratorio: la situazione presente in Italia non è la stessa che può essere riscontrata in un paese del nord Europa, dove c’è una maggiore parità di genere. Un report di inizio 2020 del World Economic Forum sul gender gap sosteneva che devono ancora passare 99 anni affinché in Italia si possa vedere qualcosa che potremmo chiamare parità di genere”.
Come è nato il progetto “She is a scientist”?
Ticchi: “L’idea iniziale era quella di raccontare la percezione che c’è della donna che fa scienza; tuttavia, mi interessava anche analizzare come percepivo me stessa come scienziata. Grazie ai social ho scoperto di non essere l’unica donna che si fa queste domande e ho deciso di creare una sorta di narrazione che riguardasse questo argomento, usando Facebook e Instagram come canali. È stato proprio grazie ai social che Serena e io ci siamo avvicinate: una sera, a Bologna, siamo uscite insieme a prenderci una birra, ci siamo raccontate il nostro vissuto e abbiamo capito di avere una visione dell’argomento abbastanza simile o, comunque, complementare, vista la mia provenienza dal mondo scientifico e quella di Serena, storica della scienza e comunicatrice”.
Fabbrini: “Durante i miei studi universitari, ho sempre avuto una sorta di ‘pallino’ per la storia della scienza: in particolare, della storia delle donne nella scienza. Cercando degli spunti e delle idee per dei miei articoli, sono incappata in She is a scientist: sono stata molto contenta quando Nicole mi ha detto: ‘salta su anche te con ‘She is a scientist’, diamoci una mano!’”
In cosa consiste il vostro progetto?
Fabbrini: “She is a Scientist è una nuova narrazione della figura femminile, in cui sono superati i ruoli di genere, per arrivare al punto in cui, rivolgendosi ad una ricercatrice, un medico o un’astronauta, non si dica: “Come hai fatto a conciliare famiglia e lavoro?”
Da una parte vogliamo mettere in luce, attraverso l’utilizzo di dati e studi a riguardo, la percezione che si ha delle donne all’interno di un gruppo di ricerca scientifico. Dall’altra ciò che ci interessa sono le storie di queste donne per raccontare sia come esse si percepiscono, sia come esse sono percepite; ma soprattutto come agiscono, insieme ad amiche e colleghe, per cambiare le situazione di svantaggio.”
Come promuovete le vostre attività?
Fabbrini: “Sicuramente i canali online sono necessari per avere visibilità e definire un network attorno a queste tematiche: ciò per poi svolgere le vere e proprie attività nel mondo “offline”. In questo senso il periodo storico in cui stiamo vivendo è eccezionale. Solitamente siamo noi che come ‘She is a Scientist’ ci attiviamo e proponiamo i nostri progetti alle biblioteche, alle associazioni o alle scuole.”
Ticchi: “Ad esempio, a luglio di quest’anno siamo riuscite ad entrare in contatto con una social media manager dell’Università di Cagliari che gestisce la comunicazione di ‘SUPERA’, un progetto europeo quadriennale che si è concluso con la scrittura del piano di uguaglianza di genere per l’Università di Cagliari. Ho chiesto loro di fare una diretta sui nostri canali social in cui spiegavano cos’è un piano di uguaglianza di genere e quali sono i presupposti culturali, comunicativi, scientifici che ci devono essere dietro a questo tipo di progetto. L’intenzione è quella di estendere questa tipologia di esperienze con enti istituzionali soprattutto, ma non solo, sui social network”
Il progetto SUPERA è stata la vostra prima esperienza con un ente istituzionale? Come è stato percepito dal vostro audience?
Ticchi: “Sì, è stata la nostra prima esperienza: è stato interessante, sia a livello personale che per il nostro audience. È stato un bel segnale che mostra che sono le istituzioni le prime ad interessarsi a queste tematiche e che i finanziamenti per questi progetti sono destinati ad aumentare nel tempo.”
Peccato che non ci siano tanti progetti come questo…
Ticchi: “Sì, ma ci aspettiamo che nuovi progetti simili possano aumentare, e anche noi valuteremo nuovi contatti con progetti di questo tipo”.
Fabbrini: “I progetti di ricerca europei sul tema della parità di genere all’interno della comunità scientifica sono veramente tanti e il prossimo anno partirà il nuovo programma quadro della Commissione Europea. In quest’ottica la nostra idea è di istituzionalizzare ‘She is a Scientist’ per diventare consulenti per la comunicazione per la creazione di piani per la parità di genere all’interno di un’istituzione, di un’università, di un gruppo di ricerca.”
In che modo ‘She is a scientist’ pensa di promuovere l’iscrizione e la vocazione delle donne alla scienza?
Fabbrini: “L’idea di “She is a Scientist’ è quella di porre l’accento sul problema della disparità di genere all’interno di scienza e ricerca e di farlo raccontando storie. Ma non solo: l’obiettivo è quello di rifarsi anche a studi e dati, fornendo anche tanto contesto. In questo modo ci si allontana da quello che potrebbe essere la semplicistica domanda sul perché le ragazze si iscrivono o meno alle facoltà scientifiche, ma anche a tematiche più complesse come la percezione del problema stesso della disparità di genere in contesti differenti”.
Ci sono donne, scienziate, comunicatrici, che sono state o sono per voi punti di riferimento?
Ticchi: “Non ti saprei dire un nome in particolare. Avere delle donne a cui ispirarsi è importante per le giovani, ma ciò che vorrei per loro è che in questo ruolo di ‘esempio’ vi possa essere anche una scienziata che tutti i giorni fa il suo lavoro, non necessariamente famosa o premiata. Questo perché si tende a dare alla figura della donna ‘modello’ dei caratteri distintivi troppo irraggiungibili rispetto quelle che sono invece le caratteristiche che tutti noi abbiamo. Mi piacerebbe che la normalità diventasse di ispirazione: la normalità della vita delle donne che fanno scienza”.
Fabbrini: “Sono d’accordo con Nicole, anche se un nome lo faccio: Chiara Valerio. Una matematica di formazione e direttrice della linea narrativa di Marsilio editore. Per me è una donna stratosferica, di un’intelligenza tagliente e sopraffina. Nel mio ‘empireo’ ci sono anche Freddie Mercury e David Bowie, per me modelli di libertà e inclusione”.
Se le donne si trovano di fronte ad una situazione di discriminazione sul lavoro come si devono porre? Come fanno a riconoscerla?
Ticchi: “Dipende sempre da quanto valorizziamo noi stesse, e ciò spesso deriva dall’ambiente culturale in cui cresciamo. Mi è capitato di svolgere dei colloqui di lavoro in cui mi veniva chiesto: “Che lavoro fa il suo compagno?” Oppure, “Hai intenzione di sposarti? Saresti disposta ad aspettare un anno?”. Queste domande non andrebbero mai poste. Se sei consapevole che quello che ti stanno dicendo è sbagliato, perché nessuno dovrebbe permettersi di rivolgersi a te in quel modo, allora riesci a rispondere a tono. Al contrario, se quello che ti è stato insegnato, in maniera conscia o inconscia, è di stare al tuo posto e di accettare quello che ti viene detto, allora fai fatica a controbattere. Tutto ciò si trasforma in un circolo vizioso: perché questo è un problema che non riguarda solo te, ma anche tutte le ragazze che vengono dopo di te. Se si accettano queste dinamiche, le persone si sentiranno sempre legittimate a porti determinate domande. Quindi dipende tantissimo dalla formazione che ci viene data quando siamo piccole: fortunatamente, tra le nuove generazioni, certi tipi di atteggiamento non sono più tollerati. Tuttavia, c’è ancora del lavoro da fare per arrivare alla parità”.
Crediti immagine: pagina facebook di “She is a scientist”