
James Foley, Steven Sotloff, Kenji Goto sono solo alcuni dei giornalisti uccisi nel corso dei primi mesi del 2015. A questi si aggiungono quelli di Charlie Hebdo, morti nella loro redazione. E i tanti morti mentre cercano di raccontare le guerre, la corruzione, gli abusi di potere in Messico come in Bahrain e in tanti altri paesi del mondo.
Allargando lo sguardo agli ultimi anni, secondo il Committee to Protect Journalists sarebbero 205 i giornalisti uccisi tra il 2012 e il 2014, una tendenza in crescita del 24% rispetto agli anni precedenti. Dove accadono questi fatti vengono tarpate le ali alla libertà di informarsi. Ma l’indipendenza di informazione non si misura solo nella possibilità di svolgere un mestiere in piena libertà. Significa anche la possibilità di accedere alle notizie in modo completo, senza che subiscano l’influenza di governi, potenze economiche o leggi formulate per contrastare questo diritto. Benché il 40% della popolazione mondiale abbia accesso a internet, solo il 14% degli abitanti del pianeta ha la possibilità di fruire di una libera informazione. Infatti solo una persona su sette vive in un territorio dove è presente una buon accesso all’informazione, vale a dire che la maggioranza delle persone nel mondo (86%) non gode di tale diritto.
Non stiamo parlando solo di paesi in una situazione di conflitto o con governi autarchici: sembra anzi che la restrizione della libertà di stampa stia assumendo proporzioni mondiali. Il rapporto Freedom of the Press 2015, pubblicato il 28 aprile scorso dalla Freedom House, una organizzazione statunitense indipendente che dagli anni ’40 del ‘900 monitora la libertà di espressione nel mondo, non fa che confermare questa percezione: la libertà di stampa globale ha avuto un declino così grande nel corso del 2014 che ha raggiunto il suo livello più basso dal 1999. Benché dal 1984 siano calati del 44% i paesi che non godono di libertà di informazione, a essere aumentati in modo preponderante sono quelli che hanno una condizione di semi-libertà (+80%).
Ed è un vero e proprio indice, il World Press Freedom Index, che Reporters without borders usa per compilare una classifica tra 180 paesi. Un indice che misura la libertà di stampa e che tinge il planisfero di diverse sfumature, dimostrando che tale diritto è tra quelli meno difesi e garantiti. Non solo nell’Oriente con i suoi conflitti o nell’Africa attraversata da guerre e povertà. Anche il ricco Occidente ha i suoi punti critici, oggi più evidenti che in passato.
Meno della metà (43%) degli stati americani gode di piena libertà di stampa: il valore è penalizzato soprattutto dall’America Centrale dove nel 14% dei paesi la libertà di stampa è negata. E in Sudamerica solo 3 stati hanno piena libertà di stampa, mentre tutti gli altri sono definiti semi-liberi. In queste regioni infatti i giornalisti subiscono spesso intimidazioni e violenze da parte di governi o organizzazioni criminali. A Nord, è il Canada il paese con la stampa più libera.
La regione in cui il diritto di libertà di stampa è maggiormente garantito rimane quella europea, dove il 69% dei paesi è libero di esprimersi attraverso i media. Malgrado questo buon posizionamento però, l’Europa nel suo complesso ha perso 4,42 punti sull’indice di libertà di stampa: il declino, iniziato dieci anni fa, è dovuto soprattutto a pressioni di tipo economico-legale sull’informazione.
Anche gli stati appartenenti all’area dell’ex-Unione Sovietica hanno visto calare il proprio indice tra il 2005 e il 2014 (-4.47 punti): l’82% della popolazione vive in aree prive di piena indipendenza nell’informazione. Solo il 23% dei paesi di tale regione gode di semi-libertà e nessuno ha piena libertà di espressione attraverso i media a causa di governi di tipo autoritario. Addirittura, la maggior parte degli stati (77%) non ha alcuna libertà di stampa.
In Asia e nella zona del Pacifico solo il 35% degli stati usano in modo libero televisione e giornali per diffondere le notizie.
In Medio Oriente e Nord Africa solo il 5% dei paesi vive una piena libertà mentre la maggior parte (79%) non ne ha affatto. Tutti guardavano alla Primavera Araba come una sorta di risorgimento. Ma questo si è poi verificato solo in Tunisia, mentre Egitto e Libia non hanno ottenuto alcun miglioramento.
Infine nell’Africa Sub-Sahariana, che è l’unica a presentare un miglioramento delle proprie condizioni nell’ambito della libertà di espressione, c’è una forte prevalenza di paesi con semi-libertà di stampa (50%), mentre quelli completamente liberi sono solo l’8%.
E se l’Africa Sub-Sahariana lentamente sale, il resto del mondo peggiora: gli stati che hanno migliorato la propria condizione rispetto al 2013 sono solo otto – il valore più basso dal 2009. Purtroppo ben 18 paesi hanno invece vissuto un peggioramento della propria posizione. Prendendo in considerazione un periodo più ampio, cinque anni, si può stilare una classifica degli stati che hanno guadagnato più diritti e di quelli che invece li hanno persi. Come si evince dal grafico, non è la forma di governo che stabilisce il grado di libertà che è possibile raggiungere, né la localizzazione geografica o la povertà. Naturalmente, il fatto che un paese migliori la propria posizione anche in modo significativo, rispetto al passato, come è accaduto per la Libia e il Myanmar, non significa che abbia raggiunto un grado di libertà di stampa soddisfacente.
L’articolo della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani che sancisce il diritto di libertà di opinione ed espressione attraverso qualsiasi mezzo (e quindi anche la stampa) e «senza alcuna interferenza nel cercare, ricevere e rivelare informazioni e idee» è il numero 19, e forma una triade inscindibile con la libertà di credo e la libertà di associazione: laddove fallisce uno di questi tre diritti, di solito falliscono anche gli altri due, come vediamo dal grafico sottostante. E in effetti se mancano le libertà civili, caratterizzate da uno score alto tra il 5 e il 7, anche la libertà di stampa lascia a desiderare. Viceversa, dove non mancano diritti civili è contemplata anche la libertà di informazione.
In alcuni paesi la libertà di stampa è circoscritta dalla legge: per motivi di sicurezza spesso i governi limitano la possibilità di accedere a documenti resi segreti, come accaduto negli Stati Uniti ma anche in Italia. Nei paesi dove si gode di minor diritto di accesso all’informazione, come ad esempio in Siria, Iraq, Egitto e Libia, gli attacchi più feroci sono stati invece contro i giornalisti che tentavano di fare informazione relativa ad argomenti spinosi, come gli abusi di potere o la corruzione, oppure sono stati presi di mira giornalisti stranieri, come è accaduto per i reporter di Al Jazeera, incarcerati a lungo nelle prigioni de Il Cairo e solo recentemente rilasciati o il giornalista del Washington Post incarcerato in Iran. Laddove ci sono governi autoritari può venire in aiuto la tecnologia e social media o blog o siti dedicati al citizen journalism diventano fonte di informazione. Proprio per questo motivo, paesi particolarmente chiusi e restrittivi, come la Russia, la Cina o il Tajikistan tendono a vietare o a controllare perfino i più moderni mezzi di comunicazione accessibili a tutti. La testimonianza di molti giornalisti da paesi dove la libertà è assai poco garantita è stata data recentemente al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia, con l’incontro «La battaglia per la libertà di espressione: testimonianze a confronto».
A volte la mancanza di libertà è legata alla ricchezza: il controllo economico dei giornali fa sì che le linee editoriali e quindi l’informazione siano indirizzate e deviate, come accade in Russia o in Venezuela, ma anche nella Grecia preda di una grande crisi economica. Quindi dove manca la libertà di stampa, chi è il responsabile? La politica, i finanziatori o il contesto legale che non riconosce questo diritto essenziale o addirittura lo punisce? Il confronto tra la situazione politica, economica e legale rilevata nel rapporto Freedom of the press 2014 indica che per molti paesi la privazione della libertà di stampa è dovuta soprattutto al ruolo giocato dalla politica che mette in pericolo tale diritto, come vediamo dal grafico sottostante dove possiamo visualizzare il peso di queste tre componenti in molti paesi del mondo.
La limitazione della libertà di stampa amplifica i soprusi dei governi, delle potenze economiche o addirittura di quelle criminali. La possibilità di informare di informarsi è intimamente associata al rispetto di molti altri diritti fondamentali. Per questo tenere alta l’attenzione sulla libertà di informazione è necessario. Ed è ancora più significativo farlo oggi, nella Giornata mondiale della libertà di stampa celebrata dalle Nazioni Unite.