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Un Paese, tante lingue

26 Gennaio 2016 - Viola Bachini

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L’Italia è il Paese con più varietà linguistiche in Europa. Un trattato internazionale stabilisce che questa situazione, che riflette una storia di frammentazioni politiche e influenze da parte di diversi popoli, dovrebbe essere considerato una ricchezza culturale alla stregua dei quadri o dei monumenti artistici.

 

Dialetti?

«Si tratta di vere e proprie lingue», esordisce Claudia Soria, ricercatrice all’Istituto di Linguistica Computazionale del Cnr. Con il termine dialetto, infatti, si indicano le varianti di una certa lingua, come per esempio in Italia il romanesco o il toscano. Sono a tutti gli effetti delle lingue, invece, il piemontese, il lombardo o il veneto, che non derivano dall’italiano. «Queste varietà si sono sviluppate dal latino in modo autonomo parallelamente all’italiano», precisa Soria, che racconta come la stessa sorte fosse toccata secoli prima al toscano, che poi è diventato la lingua nazionale per motivi di prestigio, perché considerata la lingua letteraria della tradizione colta.

Allora perché sminuire le varietà linguistiche, parlando in modo più generico di dialetti? La ragione va ricercata nella storia del nostro paese, più precisamente in epoca ottocentesca. In quegli anni i piccoli stati d’Italia erano appena stati uniti sotto un’unica nazione e una delle necessità più urgenti era creare un’unità anche sotto un punto di vista culturale e soprattutto linguistico.

«Le varietà rappresentavano una minaccia all’unità dello stato. Per questo si è diffusa l’abitudine a chiamarli dialetti e a connotarli negativamente – racconta Soria – come se valesse la pena rinunciare a parlarle o al massimo relegarle agli ambiti familiari». La situazione descritta dalla ricercatrice ha portato negli anni al progressivo abbandono delle lingue regionali in favore dell’italiano standard. Un caso emblematico è rappresentato dalla lingua sarda, riscoperta e valorizzata solo negli ultimi decenni.

Perché questa tendenza è continuata anche in tempi recenti? «Spesso si tende a puntare il dito contro radio e televisione, che avrebbero diffuso l’italiano a tal punto da far scomparire le lingue locali. Tuttavia, più che nei mezzi di comunicazione, la causa andrebbe ricercata nelle scelte delle famiglie italiane, che pensando di dare un vantaggio sociale e professionale ai figli li hanno incoraggiati a parlare in italiano. La stessa situazione che oggi si riscontra con l’inglese», racconta Soria.

L’obiettivo dei linguisti adesso è preservare questa ricchezza, che rischia di scomparire nel giro di una o al massimo due generazioni perché attualmente sono soprattutto gli anziani, o comunque gli ultracinquantenni, a parlare le lingue cugine dell’italiano. Il problema è che sono davvero in pochi quelli che le stanno tramandando ai bambini, rompendo il legame con le nuove generazioni. «Se si spezza la trasmissione tra generazioni la lingua è destinata alla scomparsa» è l’amaro commento di Soria. Nel mondo, infatti, si contano sulle dita di una mano i casi fortunati di recupero di una lingua dopo la sua estinzione.

 

La mappa

Soria e il suo team, in collaborazione con l’Istituto di Telematica e Informatica del Cnr di Pisa, hanno raccolto i dati relativi alle lingue in Italia in una mappa interattiva. La mappa, che in questo momento raccoglie dati di archivio, rappresenta il punto di partenza di un progetto ambizioso, che ha l’obiettivo di censire tutte le varietà linguistiche comune per comune.

La parte bianca della mappa corrisponde ai veri dialetti, mentre nelle zone colorate si parlano le lingue regionali, come il piemontese o il siciliano. Queste lingue sono in continuo contatto con l’italiano, quindi ne ricevono l’influsso e a loro volta influenzano la lingua nazionale. “Diglossia” è il termine tecnico che descrive una situazione in cui due lingue coesistono in una popolazione, ma sono usate per scopi diversi. In genere una lingua è quella pubblica, ufficiale, del lavoro e della scuola. L’altra è quella della famiglia e degli amici stretti, spesso anche delle attività ricreative.

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Gli italiani, le lingue e le leggi

Quanti sono gli italiani che parlano un’altra lingua oltre a quella ufficiale? Ci sono varie fonti che offrono delle stime piuttosto discordanti. La questione è complessa perché non tutti gli abitanti di un certo comune parlano la lingua locale.

Stime numero di parlanti
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Per quanto riguarda i dialetti, l’ISTAT ha provato a fare una stima del numero di parlanti in Italia attraverso un’indagine del 2012. Rispetto alle rilevazioni precedenti, è aumentata la quota di chi usa l’italiano standard: poco più della metà degli intervistati lo utilizza in famiglia e la quota aumenta con gli amici (56,4%) e, in maniera più importante, con le persone estranee (84,8%).

L’uso prevalente dell’italiano decresce con l’aumentare dell’età, riguarda maggiormente coloro che hanno un titolo di studio basso ed è più diffuso al Centro e nel Nord-ovest. Le donne mostrano una maggiore propensione a esprimersi nella lingua ufficiale dello stato rispetto agli uomini.

Gli italiani e il dialetto
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Al momento, lingue e dialetti sono protetti da una serie di leggi, che buona parte dei linguisti giudica insufficienti per una reale attività di salvaguardia.

Sono poche nel nostro Paese le lingue riconosciute a livello istituzionale. Una legge del 1999 riconosce l’esistenza di dodici minoranze linguistiche – tra cui il ladino, il friulano e il sardo – e ne ammette a tutela le rispettive lingue. In Friuli e in Trentino e nelle valli ladine queste lingue sono insegnate a scuola e usate nei siti internet delle pubbliche amministrazioni.

Altre lingue (come il Veneto, il Piemontese, o il Siciliano) oggi trovano parziale tutela solo nella legislazione regionale. La Carta europea delle lingue regionali o minoritarie è un trattato internazionale del 1992, che ha l’obiettivo di tutelare le varietà linguistiche come parti del patrimonio culturale europeo in pericolo d’estinzione e di promuoverne l’uso nella vita pubblica e privata. L’Italia ha firmato il documento nel 2000, tuttavia ancora non l’ha ratificato.

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Immagine in apertura: Joel Kramer via Flickr

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Viola Bachini

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